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La Dieta Paleolitica, che esclude cereali, legumi, latticini, riducendo l’apporto di amidi resistent


Genoni A, Christophersen CT, Lo J, Coghlan M, Boyce MC, Bird AR, Lyons-Wall P, Devine A Eur J Nutr. 2019 Jul 5. [Epub ahead of print]

Promuovere la salute intestinale e globale grazie al consumo esclusivo degli alimenti disponibili prima dell’avvento dell’agricoltura e dell’allevamento del bestiame (selvaggina, pesce, uova, frutta a guscio, radici, vegetali e frutta), con l’esclusione quindi di cereali, legumi, latticini e derivati: è questa l’idea fondante della cosiddetta “Dieta Paleolitica”.

Questo studio ha voluto confrontare l’associazione tra abitudini alimentari diverse (quella dei nostri progenitori e quella attuale) e livelli circolanti di marker della funzionalità intestinale e del microbiota e di TMAO (Trimetilamina-N-ossido, che deriva dalla carnitina, colina ed altri composti simili, per intervento del microbiota intestinale e di alcuni enzimi epatici), che è a sua volta associata a un elevato rischio cardiovascolare, in due gruppi di uomini e donne tra i 18 e i 70 anni, non fumatori e con un BMI < 30 kg/m2. Quelli nel primo gruppo seguivano da almeno un anno la Dieta Paleolitica, mentre quelli nel secondo gruppo seguivano un’alimentazione standard (secondo le abitudini australiane). La registrazione dei consumi registrati grazie alla compilazione di diari alimentari ha permesso di identificare nel gruppo “Dieta Paleolitica” persone che aderivano strettamente alle indicazioni (SP, Strict Paleolithic) e altre che consumavano invece anche più di una porzione al giorno di cereali e/o latticini (PP, Pseudo-Paleolithic). Dall’analisi dei dati raccolti è emerso che i soggetti SP e PP assumevano una quantità totale di fibre molto inferiore rispetto ai controlli, con specifico riferimento, come atteso, agli amidi resistenti. L’apporto totale di grassi era più elevato nei soggetti SP e PP rispetto ai controlli e, per quanto riguarda i grassi saturi, era più che doppio rispetto alle raccomandazioni nutrizionali australiane e internazionali, che indicano una soglia del 10%. Il più elevato apporto di grassi e (soprattutto) la ridotta assunzione di amidi resistenti sono risultati associati, nei soggetti SP e PP, a una diversa composizione del microbiota intestinale, con una minore presenza dei generi Roseburia e Bifidobacterium, in grado di metabolizzare i carboidrati e la fibra con produzione di acidi grassi a catena corta. Gli Autori ricordano che la minore presenza nel microbiota di queste due popolazioni batteriche si associa a un maggior rischio di malattie infiammatorie intestinali, di sindrome del colon irritabile e di sovrappeso/obesità. Quanto all’oggetto principale della ricerca, vale a dire la variazione delle concentrazioni ematiche di TMAO, livelli significativamente più elevati (e inversamente correlati con i consumi di cereali integrali) sono stati rilevati nei soggetti del sottogruppo a stretta dieta Paleolitica (SP) rispetto ai gruppi di controllo e PP. A questo riscontro si associava, nel microbiota intestinale, la presenza massiccia di Clostridium hathewayi, del genere Hungatella: una specie batterica che si moltiplica in presenza di colina e che determina l’aumento delle concentrazioni di TMAO. Gli Autori concludono che le differenze di composizione del microbiota intestinale rilevate tra i soggetti con una stretta adesione alla Dieta Paleolitica, ad alto apporto di grassi e basso apporto di carboidrati, sono associate all’aumento del rischio di effetti metabolici sfavorevoli, e non associati ad alcun vantaggio di salute nel lungo periodo.

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